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da GRUN » 18 gen 2007, 17:26
Ripartiamo appunto dalle varie aree di sviluppo. In Italia, forse più che altrove, è fondamentale analizzare le differenze tra le diverse realtà geografiche e sociali per capire come si sono formate le identità (e non l'identità) del nostro rugby e per comprendere perché da noi ha davvero poco senso parlare di univocità. Ogni città un rugby, potremmo dire. Ci sono casi dove tutto parte dalla base, dove il primo passo viene compiuto da praticanti entusiasti che poi si organizzano, si strutturano in organigramma societario. E' il caso di Rovigo e di Frascati (nella cittadina laziale la pallaovale viene introdotta da Pasquini, Fortunato e Spalletta, alla fine degli anni quaranta), che non a caso si connoteranno come realtà corroborate da un entusiasmo più sanguigno, da un ardore più proletario, da quella che Umberto Saba chiamava "sanità degli istinti". Lì il tifo caldo e presente condizionerà sempre e comunque le scelte della società, lì gli appassionati locali saranno in costante contatto con dirigenti, allenatori e giocatori, lì si creerà un'interazione non pensabile in altri contesti. Sono anche realtà, ed il discorso vale soprattutto per Rovigo, connotate da condizioni economiche che, specie nell'immediato dopoguerra, si presentano molto difficili, con industrie e terziario che faticano a porsi come forza trainante del territorio e di un suo eventuale sviluppo. Questo spiega perché il ruolo della borghesia imprenditoriale avrà, anche nella conduzione delle società sportive, un'importanza meno rilevante che altrove, con conseguenze (ed il discorso vale anche per L'Aquila) che porteranno a ripercussioni negative con l'avvento del professionismo. Caso diverso è quello di Padova. Lì il rugby nasce e cresce con la squadra del Guf, ma sarà nel dopoguerra che la città diventerà un riferimento per la pallaovale nazionale grazie alle Fiamme Oro e naturalmente al Petrarca. Ecco, il caso del Petrarca è davvero interessante, ed illuminante è la divaricazione che si produce rispetto alla realtà rodigina, pure così prossima fisicamente. Il Petrarca viene fondato nel 1947 da Bonaiti, Santini e Munaron, che con la collaborazione e l'appoggio del professore Michele Arslan, un padre gesuita, anche primo presidente del sodalizio, stabiliscono la sede della società presso il Collegio Universitario Antonianum. E' il percorso inverso rispetto a Rovigo: a Padova si va dall'alto verso la base, prima si definiscono i programmi, educativi e di sviluppo, di forte matrice cattolica, poi si realizza l'organigramma societario ed infine si va alla base dei praticanti. Ordine, organizzazione ed oculato dirigismo. Il fatto di agire in una città ed in una provincia che da un'economia prevalentamente agricola transiteranno con rapidità e capacità di adattamento ad industria e terziario, renderà possibile stabilire legami forti tra la borghesia imprenditoriale, quasi tutta di orientamento cattolico, della città, e la società Petrarca. Il suggello a questa liason si stabilirà agli inizi degli anni ottanta, quando Memo Geremia, autentica anima ed assoluto deus ex machina del rugby petrarchino, avvierà il progetto di costruzione del centro sportivo della Guizza, poi intitolato a lui, che sarà reso possibile grazie alla visionaria testardaggine di Geremia, ma soprattutto grazie al contributo economico ed operativo, oltre che dei singoli appassionati, di decine e decine di aziende e di ditte. "Mi serve un milione per far correre i nostri ragazzi, devi darmi una mano", dirà Geremia, riuscendo a ceare una rete di solidarietà che renderà possibile l'edificazione di un centro modello con un contributo pubblico molto modesto.