Storia del campionato italiano e del super 10

La Storia del Rugby, le sue Tradizioni, le Leggende, attraverso documenti, detti, racconti, aforismi.

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MT
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Messaggio da MT » 6 gen 2007, 12:42

Grazie ancora a GRUN.


zuffy ha scritto:ciao MT!
a te e a tutti quelli che hanno da poco iniziato a seguire il rugby consiglio l'acquisto di almeno un annuario tipo questo:

rugby 2003
pacitti-volpe edigrafital (teramo)

si trova su libreriadellosport.it o siti simili
cmq ogni anno ne esce uno aggiornato ma se vuoi risparmiare prendi quello di due tre anni prima..tanto la storia recente si sa!
ci trovi una marea di info, è un prodotto forse più per giornalisti e addetti al settore ma pure per chi si vuol documentare va benissimo...
Grazie del suggerimento Zuffy.
Confesso che ho sempre pensato che l'annuario parlasse solo dell'ultimo anno di rugby, non sapevo ci fosse anche una parte "storica"

zuffy
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Messaggio da zuffy » 6 gen 2007, 15:00

invece è così! ..dell'anno in corso ovviamente ci sono approfondimenti ma almeno un 50 se non 75% del totale è dedicato ai dati storici, almeno nel volume che possiedo io! e poi lo porti a casa con circa 15 euro o anche meno

devo farti notare però che sono dati "freddi" utili alle statistiche mentre grun ci sta raccontando tanti retroscena che in un annuario difficilmente troverai..

GRUN
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Messaggio da GRUN » 10 gen 2007, 16:37

Julien Saby, dopo aver lasciato l'Amatori ed aver allenato il Guf Genova nel campionato 1936/37, è richiamato alla guida della nazionale. Grazie ai suoi uffici ed ai suoi sforzi agli azzurri vengono garantite opportunità di confronto con squadre straniere prima nemmeno ipotizzabili. Il 25 aprile 1935 a Roma, Stadio del Partito (poi Flaminio), lo stesso che aveva visto l'anno prima gli azzurri di Pozzo vincere la Coppa del Mondo di calcio, ospita il primo confronto con la Francia, che ci legna impietosamente per 44-6, ripetendosi il 17 ottobre 1937 nel torneo di Parigi, quando ci rifila un 43-5 , dopo che erano arrivate nei giorni precedenti due belle vittorie dell'Italia contro il belgio e la forte Germania, all'epoca considerata la seconda forza continentale. Dopo il 1937 la situazione per il rugby nostrano declina però al peggio. Saby capisce, come un giorno avrebbe scritto il sommo Dylan, che "non serve il metereologo per capire da che parte tira il vento". I rapporti tra l'Italia fascista e la Germania nazista si fanno sempre più saldi, Mussolini va alla conferenza di Monaco, Hitler viene accolto a Firenze, ispirando ad uno sgomento Eugenio Montale i versi di "Primavera hitleriana". A molti cittadini stranieri il momento sembra opportuno per un triste ritorno a casa: Saby è tra questi. Farà in Francie l'insegnante di educazione fisica ed il fisioterapista, continuando ad allenare e ad insegnare rugby. Finito il conflitto riallaccerà rapporti con il movimento italiano, organizzando corsi, scrivendo libri (l'ultimo è del 1976, "Il rugby: la preparazione psico-fisica: tecnica e tattica individuale", realizzato insieme a Sessa ed Invernici e pubblicato da Società Stampa Sportiva), allenando negli anni settanta Rovigo. Morirà nel 1992 (era nato nel 1902). La sua partenza è deleteria per il rugby italiano, che perde un teorico illuminato, un insegnante formidabile ed un organizzatore infaticabile. L'Amatori Milano, forte delle sue lezioni e con un organico molto superiore a quello delle altre squadre, non ha problemi a riprendersi (anche se deve emigrare a giocare le partite interne a Busto Arsizio)ed a vincere i campionati che vanno dal 1937/38 al al 1942/43. Ad entrare in crisi sono moltre altre società e tra queste l'A.S. Roma, che dopo due campionati anonimi, nel 1939 non s'iscrive nemmeno al torneo. Anche Bologna si sfascia, chiudendo la sezione rugby nel 1938, per mancanza di fondi. Il rugby, appoggiato per anni da gerarchi entusiasti, viene repentinamente relegato a disciplina minore e anche l'attività della nazionale risente del ridimensionamento; tra il 1938 ed il 1942 si giocano solo sei partite, contro Romania e Germania. La guerra arriva e tutto travolge. Si riparlerà di sport, nazionale e campionato a conflitto terminato.

GRUN
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Messaggio da GRUN » 12 gen 2007, 19:18

Il rugby italiano negli anni che vanno dall'emissione dei primi vagiti fino al 1943, è, malgrado la giovane età e tutti i problemi di crescita e sviluppo che si sono venuti manifestando, fenomeno interessante da analizzare, con tratti peculiari che contribuiscono a garantire un'identità non tanto tecnica, quanto culturale e sociale. In questa fase aurorale si sviluppa principalmente nei grandi centri urbani e in nelle città, anche piccole, che sono sede universitaria (si veda sopra la parte relativa ai Guf), quali ad esempio L'Aquila. Non mancano eccezioni (a Treviso la squadra di rugby viene fondata nel 1932 e a Rovigo nel 1935), ma la presenza di società espressione di realtà di provincia è ridotta ed è difficile prevedera quell'inversione di tendenza che caratterizzerà il dopoguerra ed i decenni successivi. A posteriori questa marginalità dei piccoli centri apparirà però meno penalizzante ed incisiva di quanto fosse sembrato allora, perché in questi contesti si sono comunque gettate le basi per l'articolazione di un progetto e per la sua effettiva realizzazione, come il caso paradigmatico di Rovigo dimostra. Come già scritto prima, a seminare nel Polesine è lo studente di medicina, iscritto a Padova, Davide Lanzoni, che si innamora del rugby vedendo i compagni di facoltà correre dietro a quella strana palla ovale. Lanzoni organizza i primi "contatti" col pallone da rugby al Campo Comunale nel maggio del 1935 ed è folle a tal punto da sfidare un mese dopo i ragazzi del Guf di Padova, che naturalmente vincono 34-6 contro un manipolo di baldi giovanotti che in pratica non conoscono nemmeno il regolamento. Ma è amore a prima vista o a primo placcaggio, se preferite, una sorta di combinazione alchemica tra rodigini e rugby, il tutto supportato però da razionali consapevolezze (ed il connubio tra sanguigna istintività e pianificazione è uno dei tratti distintivi della storia ovale rodigina). Lanzoni infatti qualche mese dopo si reca a Roma per seguire il famoso e fondamentale corso organizzato e diretto da Julien Saby, al fine di garantire a sé ed ai propri compagni di avventura un sedimento di conoscenze necessario ad evitare che una passione bruciante venga spenta dai rivoli dell'improvvisazione. In pochi mesi vengono coinvolti molti ragazzi, spesso i più esuberanti, levati dalla strada, coinvolti ed edotti, magari in misura minima ed approssimativa, ma sufficiente a far capire loro il gioco ed il suo spirito. E anche se la squadra non arriva a giocare in serie A prima della guerra, si sgrezzano talenti quale quello di Maci Battaglini, che nel 1939 ottiene l'opportunità di andare ad imparare e a giocare addirittura nell'Amatori Milano, laurendosi campione d'Italia e sfuggendo per un anno ad una povertà che purtroppo nel Polesine è, in quegli anni, fattore quasi fisiologico in una terra che conoscerà anche devastanti inondazioni e conseguenti, dolorosi, flussi migratori (L3gs mi corregga se ho sbagliato). Comunque, sotto la cenere cova il fuoco, anche se, ribadisco, il rugby italiano riceve all'inizio gli impulsi più elettrici dalle grandi città. Non si dimentichi che in quegli anni il progetto del governo fascista è quello di creare centri urbani capaci di espandersi accorpando i paesi limitrofi di ridotto numero di abitanti e poca estensione; i casi di Genova, Roma e anche L'Aquila (che accorpa ad esempio Paganica e Tempera) lo stanno a dimostrare.

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Messaggio da GRUN » 12 gen 2007, 20:01

Altro tratto identificativo del rugby italiano delle origini, ma capace di rimanere tale nel corso dei decenni, è la sua trasversalità sociale. Da noi questo sport magnifico non è disciplina di elite o delle elites, non è di quasi esclusiva pertinenza di una classe, non connota un gruppo etnico. Certo, le varie realtà geografiche nelle quali va ad inserirsi, ad incastrarsi, differiscono l'una dall'altra, spesso in modo sensibile, e questa divaricazione che si può rilevare sul piano storico, economico, culturale, comporta diverse vie di sviluppo ed interpretazione del rugby in Italia. Ma resta il fatto che da Padova a Catania a prendere la palla ovale in mano e a seguire le storie di giocatori e squadre, sono state persone delle più disparate estrazioni, con percorsi esistenziali, esperienze, visioni del mondo, consapevolezze culturali differenti, spesso distanti; questo non ha però compromesso il consolidamento di una passione e di costruzione di un'identità ( processo non semplice in un paese che ha eletto il calcio a vera religione nazionale) , anzi, ha contribuito a vivificare tutto il movimento. E funzione feconda hanno avuto anche quegli impulsi ai quali si è accennato sopra, relativi alle varie aree di sviluppo.

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Messaggio da GRUN » 18 gen 2007, 17:26

Ripartiamo appunto dalle varie aree di sviluppo. In Italia, forse più che altrove, è fondamentale analizzare le differenze tra le diverse realtà geografiche e sociali per capire come si sono formate le identità (e non l'identità) del nostro rugby e per comprendere perché da noi ha davvero poco senso parlare di univocità. Ogni città un rugby, potremmo dire. Ci sono casi dove tutto parte dalla base, dove il primo passo viene compiuto da praticanti entusiasti che poi si organizzano, si strutturano in organigramma societario. E' il caso di Rovigo e di Frascati (nella cittadina laziale la pallaovale viene introdotta da Pasquini, Fortunato e Spalletta, alla fine degli anni quaranta), che non a caso si connoteranno come realtà corroborate da un entusiasmo più sanguigno, da un ardore più proletario, da quella che Umberto Saba chiamava "sanità degli istinti". Lì il tifo caldo e presente condizionerà sempre e comunque le scelte della società, lì gli appassionati locali saranno in costante contatto con dirigenti, allenatori e giocatori, lì si creerà un'interazione non pensabile in altri contesti. Sono anche realtà, ed il discorso vale soprattutto per Rovigo, connotate da condizioni economiche che, specie nell'immediato dopoguerra, si presentano molto difficili, con industrie e terziario che faticano a porsi come forza trainante del territorio e di un suo eventuale sviluppo. Questo spiega perché il ruolo della borghesia imprenditoriale avrà, anche nella conduzione delle società sportive, un'importanza meno rilevante che altrove, con conseguenze (ed il discorso vale anche per L'Aquila) che porteranno a ripercussioni negative con l'avvento del professionismo. Caso diverso è quello di Padova. Lì il rugby nasce e cresce con la squadra del Guf, ma sarà nel dopoguerra che la città diventerà un riferimento per la pallaovale nazionale grazie alle Fiamme Oro e naturalmente al Petrarca. Ecco, il caso del Petrarca è davvero interessante, ed illuminante è la divaricazione che si produce rispetto alla realtà rodigina, pure così prossima fisicamente. Il Petrarca viene fondato nel 1947 da Bonaiti, Santini e Munaron, che con la collaborazione e l'appoggio del professore Michele Arslan, un padre gesuita, anche primo presidente del sodalizio, stabiliscono la sede della società presso il Collegio Universitario Antonianum. E' il percorso inverso rispetto a Rovigo: a Padova si va dall'alto verso la base, prima si definiscono i programmi, educativi e di sviluppo, di forte matrice cattolica, poi si realizza l'organigramma societario ed infine si va alla base dei praticanti. Ordine, organizzazione ed oculato dirigismo. Il fatto di agire in una città ed in una provincia che da un'economia prevalentamente agricola transiteranno con rapidità e capacità di adattamento ad industria e terziario, renderà possibile stabilire legami forti tra la borghesia imprenditoriale, quasi tutta di orientamento cattolico, della città, e la società Petrarca. Il suggello a questa liason si stabilirà agli inizi degli anni ottanta, quando Memo Geremia, autentica anima ed assoluto deus ex machina del rugby petrarchino, avvierà il progetto di costruzione del centro sportivo della Guizza, poi intitolato a lui, che sarà reso possibile grazie alla visionaria testardaggine di Geremia, ma soprattutto grazie al contributo economico ed operativo, oltre che dei singoli appassionati, di decine e decine di aziende e di ditte. "Mi serve un milione per far correre i nostri ragazzi, devi darmi una mano", dirà Geremia, riuscendo a ceare una rete di solidarietà che renderà possibile l'edificazione di un centro modello con un contributo pubblico molto modesto.

ursula
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Messaggio da ursula » 21 feb 2007, 16:10

Grun sei un pozzo di scienza

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Messaggio da GRUN » 21 feb 2007, 16:50

Grazie Ursula, davvero troppo gentile. Guarda, mi ero fermato perché temevo che questo lavoro interessasse a troppo pochi e non volevo annoiare. Se qualcuno volesse, nei prossimi giorni potrei proseguire: c'è da parlare di Treviso, L'Aquila e di tanto altro ancora...

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Messaggio da bogi » 21 feb 2007, 17:00

GRUN ha scritto:Grazie Ursula, davvero troppo gentile. Guarda, mi ero fermato perché temevo che questo lavoro interessasse a troppo pochi e non volevo annoiare. Se qualcuno volesse, nei prossimi giorni potrei proseguire: c'è da parlare di Treviso, L'Aquila e di tanto altro ancora...
Molto, molto interessante.

Continua, te ne prego.

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Messaggio da diddi » 21 feb 2007, 17:23

GRUN ha scritto:Grazie Ursula, davvero troppo gentile. Guarda, mi ero fermato perché temevo che questo lavoro interessasse a troppo pochi e non volevo annoiare. Se qualcuno volesse, nei prossimi giorni potrei proseguire: c'è da parlare di Treviso, L'Aquila e di tanto altro ancora...
Per carità, Grun, CONTINUA! (sto raccogliendo tutto in dispense ad uso privato...)
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jaco
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Messaggio da jaco » 22 feb 2007, 9:17

Grun siamo tutt'orecchie (o occhi... boh)... continua, anche perchè voglio vederti scrivere anche di San Donà... :wink:

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Messaggio da user234483 » 22 feb 2007, 19:44

GRUN ha scritto:Grazie Ursula, davvero troppo gentile. Guarda, mi ero fermato perché temevo che questo lavoro interessasse a troppo pochi e non volevo annoiare. Se qualcuno volesse, nei prossimi giorni potrei proseguire: c'è da parlare di Treviso, L'Aquila e di tanto altro ancora...
interessare a pochi? :|

piu' che altro, io fossi in te prenderei tutto e lo metterei in un libro, qualcuno forse te lo pagherebbe :)
andando indietro nell'avanti altrove, seminando la fecola al di sopra della pietanza, nulla stringe!

Tessera A.P.A. #0 (honoris causa); // Geneticamente m[OT]ificato.

Wakea
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Messaggio da Wakea » 22 feb 2007, 21:52

grande grun!!!
quando parli un pò del rovigo?

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parramatta
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Messaggio da parramatta » 22 feb 2007, 23:54

quoto e straquoto....
io pensavo che fossero spezzoni di un libro scritto da te...
Come fai a scrivere cosi bene, e soprattutto come fai a sapere tutto questo?
sono divorato dalla curiosita'.
Asolutamente devi pubblicarlo!
Complimenti vivissimi!

no vedo l ora che arrivino gli anni 70 80 , a me un po piu vicini...

Wakea
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Messaggio da Wakea » 23 feb 2007, 16:32

anche io...voglio sentir parlare di brewer, di botica, di burger (thys), di louw... di campese, little, e di tutti i grandi campioni che hanno fatto la storia del
campionato italiano, facendo entusiasmare folle che oggi il super10 se le sogna...

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